Come possiamo portare una trasformazione radicale senza limitare la crescita dell’agricoltura, necessaria sia a soddisfare la sicurezza alimentare sia a restituire la sovranità alimentare, senza danneggiare la fertilità del suolo e la salute dell’ambiente? E a quale prezzo?
La risposta (anche) a queste domande è proprio uno degli obiettivi di “Iperdurum”, un progetto di ricerca che punta a innovazioni varietali, agronomiche e tecnologiche. “La cerealicoltura ha tanti problemi, primo tra tutti, il cambiamento del clima. Quindi la sfida è produrre di più e con una qualità più alta”. Così Agata Gadaleta (docente di Genetica agraria e coordinatrice del nuovo corso di studi in Tecniche dell’agricoltura sostenibile presso l’università di Bari), referente scientifico e coordinatrice del progetto, ha esordito durante il convegno “Cibo e Territorio nella transizione ecologica” dove ha illustrato i risultati raggiunti dopo quasi due anni di ricerca, sperimentazione e workshop tematici. Ha partecipato al dibattito anche il professore Arturo Casieri, docente della facoltà di Agraria dell’università di Bari e presidente del Distretto Agroecologico delle Murge e del Bradano, il quale ha suggerito l’Agroecologia come guida per un cambiamento necessario.
Che cos’è l’Agroecologia?
“E’ certamente un concetto complesso che può essere considerato in tre modi diversi: una scienza, un insieme di buone pratiche agricole, un movimento politico. E’ una scienza molto giovane che si caratterizza soprattutto per il suo approccio olistico, cioè, ha come obiettivo una visione complessiva delle problematiche attuali e per questo motivo essa si avvale della partecipazione di altre scienze come la chimica, la biologia, l’agronomia e le scienze sociali. E’ un tentativo molto complesso, mai fatto fino ad ora, e uno dei compiti dell’Agroecologia è quello di sviluppare nuove modalità di intendere il rapporto tra la natura e l’uomo nella loro evoluzione. E voglio sottolineare che questo compito non ha nulla a che vedere con il miglioramento delle performances delle piante o degli animali, non punta ad aumentarne la produttività bensì mira ad aumentare la resilienza”.
“Aumentarne la resilienza”. Cosa significa?
“La resilienza è la capacità di un sistema di reagire alle sollecitazioni esterne senza che il sistema si sgretoli. Un sistema resiliente è un sistema che si adatta. Oggi c’è bisogno di aumentare la resilienza dei nostri sistemi a causa del cambiamento climatico, di cui tutti ormai siamo a conoscenza, che sta completamento modificando i rapporti tra gli uomini, gli esseri viventi e la natura”.
Perché si può definirla un movimento politico?
“Per la capacità di muovere persone e anche organizzazioni verso un nuovo modo di intendere le relazioni tra gli agricoltori, la società civile”.
“E’ un insieme di buone pratiche agricole”.
Sì. Queste pratiche sono caratterizzate dall’ interrelazione tra esseri viventi. Mi spiego meglio. L’agroecologia fa riferimento a sistemi utilizzati dai nostri nonni basati sulla interazione tra piante e terreno. Io non sono un agronomo quindi non m’intendo perfettamente di queste cose, però studiando l’agroecologia ho visto che riporta in auge alcune tecniche utilizzate in passato. Per esempio, la policultura o l’utilizzo di piante che non hanno la funzione di produrre alimenti ma quella di migliorare le caratteristiche del suolo.
Qual è l’elemento fondante dell’Agroecologia come movimento politico?
E’ il concetto di sovranità alimentare (che non va confusa con la sicurezza alimentare) è stato coniato e implementato dai movimenti contadini dell’America latina. Questi movimenti nascono proprio in reazione al potere e al primato acquisito oramai dalle grandi imprese e dalle multinazionali (che hanno come unico obiettivo la massimizzazione del capitale investito. Questa politica ha portato alla distruzione di grandi aree del nostro pianeta, soprattutto le foreste tropicali che sono state oggetto di disboscamento per far posto alle colture industriali, alle commodities che vengono commercializzate a livello internazionale.
Quali sono gli obiettivi della sovranità alimentare?
L’obiettivo principale è quello di restituire la parola sia agli agricoltori sia ai consumatori soprattutto per ciò che riguarda l’organizzazione della produzione e della distribuzione del reddito. Nei Paesi industrializzati sembra che il consumatore già goda di questa facoltà, cioè della libertà di scelta. E’ una sensazione che molti di noi hanno, probabilmente, quando si trovano in un supermercato. In realtà, non siamo noi che scegliamo. O meglio, c’è differenza tra la libertà di scelta davanti a un set di prodotti che troviamo sugli scaffali e quella libertà che mi fa decidere quali prodotti mi piacerebbe trovare. L’agroecologia, ecco, punta proprio a questo: alla redistribuzione del reddito più equa all’interno della filiera alimentare (soprattutto nei confronti degli agricoltori impegnati in una lotta contro i monopoli di cui parlavamo poco fa) e alla tutela dei consumatori. Non a caso si parla di co-producer: chi produce lo fa anche tenendo conto delle esigenze dei consumatori. L’agricoltura agroecologica possiamo definirla certamente un’agricoltura sostenibile perché viene praticata in loco e nutre la popolazione di un territorio specifico. E questa è una peculiarità che l’agricoltura industrializzata ha completamente perso. Ecco perché si sente parlare sempre più spesso di “valorizzazione del territorio”.