La visione olistica dell’Agroecologia e la risposta di Iperdurum
Se unissimo la sapienza contadina tramandata da più di cinque millenni con quella assimilata da scienziati e studiosi attraverso la ricerca e il progresso delle scienze avremmo un’alleanza vincente e, soprattutto, salutare per gli uomini e per l’intero pianeta. Questa alleanza prende il nome di Agroecologia.
Sin dal Neolitico, l’uomo ha iniziato a prendersi cura della terra creando un legame quasi simbiotico, un legame che assicurasse vantaggi e rispetto reciproci, un legame che naturalmente ha instaurato una prima conoscenza. Gli uomini del Neolitico sono stati i primi osservatori di ogni processo ciclico sulla terra e, non avendo alcuna conoscenza scientifica, si sono limitati a guardare ciò che succedeva in natura e a cogliere i rapporti tra l’uomo e la terra, tra la terra e il cielo, tra la terra e le altre forme di vita. Non è azzardato dire che una prima e rudimentale concezione olistica dell’uomo e del suo habitat abbia avuto origine in quella fase della storia umana. Così come non è azzardato dire che chi si è dedicato alla coltivazione della terra si possa considerare depositario di un sapere ancestrale.
L’ Agroecologia riparte da qui. Essa è una sorta di disciplina olistica che riporta l’attenzione sui rapporti di intima connessione e reciproca dipendenza tra la terra, l’ambiente e le diverse forme di vita con l’obiettivo di garantire la sussistenza in un regime salutare per tutti. E’ una disciplina olistica perché rivolge uno sguardo più ampio e più a lungo raggio grazie anche ai sempre più robusti risultati delle scienze nel corso di secoli di osservazione, ricerca e sperimentazione. L’Agroecologia propone un’alleanza rivoluzionaria o, se questa espressione risultasse obsoleta, un modo di “fare rete”, uno “sharing” tra studiosi, ricercatori, agricoltori, produttori e consumatori per una trasformazione radicale che non può più attendere.
“Gli attuali modelli di agricoltura intensiva non si stanno dimostrando sostenibili. La pressione sulla terra e sulle risorse idriche è tale da compromettere la produttività dei sistemi agricoli chiave minacciando i mezzi di sussistenza”. Questo è scritto nel rapporto FAO, “The state of the world’s land and water resources for food and agriculture”, sullo stato di salute del suolo agricolo e delle risorse idriche diffuso qualche giorno fa. A dieci anni dalla prima fotografia, questa del 2021 è ancora più triste.
“Le grandi aziende – si legge nel rapporto – ora controllano lo sfruttamento dei terreni agricoli (…) mentre la frammentazione dei piccoli proprietari colloca l’agricoltura di sussistenza su terre soggette a degrado e scarsità d’acqua“. Come possiamo portare una trasformazione radicale senza limitare la crescita dell’agricoltura necessaria a soddisfare la sicurezza alimentare e senza danneggiare la fertilità del suolo? E a quale prezzo?
Iperdurum, per esempio, nasce proprio dall’esigenza di dare delle risposte anche a queste domande partendo proprio dal grano. Iperdurum è il nome di un progetto e di un obiettivo: sperimentare e introdurre una nuova varietà di grano duro (iperdurum) in alcune aree della Puglia già coltivate a frumento. In particolare, in quei campi in cui il grano duro ha già dato ottima prova di sé e ci fa ritenere di poter incrociare nuove varietà di frumento con quelle tradizionali. Vogliamo cioè creare un “super grano” che sia più resistente alle micotossine, contenga una maggiore quantità di proteine, aiuti a concimare in maniera più razionale i terreni e abbia valori nutrizionali superiori. Iperdurum vuole essere il “nuovo grano duro” da trasformare in pane e pasta al massimo livello di qualità.